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Attualità

Sulle perdite fiscali partita tutta aperta in sede Ue

Nel mirino la compensazione di redditi interni con perdite fiscali relative a investimenti effettuati in altri Stati membri Ue

Nelle conclusioni al caso C-347/04, l’Avvocato generale sostiene che la normativa germanica è in contrasto con gli articoli 43, 48 e 56 del Trattato Ce, dato che la deducibilità delle perdite è ammessa senza limitazioni se corrisponde ad ammortamenti realizzati sul valore di partecipazioni in società figlie stabilite nello stesso Stato in cui risiede la madre. Dopo il caso Marks & Spencer, risolto con sentenza n. 446/03 del 13 dicembre 2005, si ritorna sulla "vexata quaestio" della compensazione di redditi interni con perdite fiscali relative a investimenti effettuati in altri Stati membri dell’Unione europea. Nelle conclusioni al caso C-347/04, l’Avvocato generale sostiene che la normativa tedesca, che limita la deduzione in capo alla controllante germanica, degli ammortamenti (rectius: svalutazioni) di partecipazioni in controllate residenti in altri Stati membri, si pone in contrasto con gli articoli 43, 48 e 56 Trattato CE, dal momento che la deducibilità di tali perdite è ammessa senza limitazioni quando corrisponde ad ammortamenti realizzati sul valore di partecipazioni in società figlie stabilite nello stesso Stato membro in cui ha sede la società madre.
 
Libertà di stabilimento e imposta sulle società
In particolare, è censurata la compatibilità con la libertà di stabilimento dell’articolo 2, comma 1, n. 3, lett. a) e comma 2 della legge relativa all'imposta sulle persone giuridiche (Körperschaftsteuergesetz: il "KStG"), che fa rinvio alle disposizioni rilevanti della legge in materia di imposta sul reddito (Einkommensteuergesetz: l'"EStG"). Mentre il 1° comma, n. 3), lett. a) prevede la non deducibilità delle svalutazioni su partecipazioni relative a società costituite all’estero, il 2° comma dispone che il 1° comma non si applica se il contribuente dimostra che le svalutazioni siano relative a uno stabilimento industriale o commerciale all'estero, che si dedica esclusivamente o quasi esclusivamente alla produzione o alla fornitura di merci, eccetto le armi, all'estrazione di risorse del sottosuolo e all'esecuzione di prestazioni commerciali purché esse non consistano nella costruzione o gestione di stabilimenti per il turismo, o nella locazione di beni economici incluso il trasferimento di diritti, progetti, modelli, procedure, e know-how.

Le conclusioni in dettaglio
Nel punto A (paragrafi 13-23) delle conclusioni, l’Avvocato generale rileva che la predetta disciplina normativa contrasta con la libertà di stabilimento, dal momento che la disparità di trattamento comporta che "una società madre potrebbe essere dissuasa dall'esercitare le proprie attività con l'intermediazione di una società controllata o di una società controllata dalla controllata stabilita in altri Stati membri", a nulla rilevando la tesi sostenuta dal Governo germanico, secondo cui la disparità di trattamento sarebbe giustificata dal fatto che la situazione di una società controllata stabilita in Germania non si può paragonare a quella di una società controllata stabilita in un altro Stato membro, e questo in quanto ciò che rileva non è la posizione fiscale della società controllata ma della società controllante germanica. Appurata la sussistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento della normativa germanica in esame, l’Avvocato generale pone il fondamentale problema se "tale restrizione può essere consentita soltanto se persegue uno scopo legittimo compatibile con il Trattato ed è giustificata da ragioni imperative di interesse generale. Anche in tale ipotesi, però, la sua applicazione dev'essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non deve eccedere quanto necessario per raggiungerlo". A tal fine, sono rigettati tutti gli argomenti addotti dal Governo germanico, ritenendoli non idonei a suffragare la restrizione alla libertà di stabilimento nell’ambito del mercato unico europeo.

La ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri
Il primo argomento rigettato è quello ripreso dalla sentenza Marks & Spencer e si basa sulla equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri. Il Governo germanico, infatti, fonda il proprio argomento su una regola di simmetria tra il diritto di tassare gli utili di una società estera, che è escluso dalle attuali disposizioni tributarie internazionali, e il dovere di prendere in considerazione le perdite della stessa, che dovrebbe essere altresì escluso. L’Avvocato generale rileva, viceversa, che, "considerata in questo modo, infatti, essa non si differenzia sostanzialmente da una giustificazione di tipo puramente economico. Tale interpretazione permetterebbe ad uno Stato membro di negare sistematicamente la concessione di vantaggi fiscali ad un'impresa sostenendo che essa ha svolto una attività economica transnazionale che non può generare redditi fiscali in capo a tale Stato". Secondo l’Avvocato generale, sono soltanto i rischi di abuso e di frode che possono derivare da un cattivo coordinamento delle competenze fiscali degli Stati membri a giustificare, nell’ambito della sentenza Marks & Spencer, una discriminazione basata sulla ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri. In tali casi, infatti, il diritto di stabilimento sarebbe utilizzato dagli operatori economici per trarne vantaggi che non siano legati all'esercizio delle libertà di circolazione, ad esempio, ogniqualvolta il trasferimento di attività nella Comunità fosse determinato unicamente da ragioni fiscali, indipendentemente da ogni volontà di stabilimento e di integrazione nell'economia della società di accoglienza, con l'unico scopo di sottrarsi abusivamente alle normative nazionali o di sfruttare artificialmente le differenze che esistono tra di esse. Tuttavia, tale rischio dovrebbe essere dimostrato. Da qui la conclusione della Corte nel citato caso Marks & Spencer che l'elemento di giustificazione basato sulla salvaguardia della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri non possa essere dissociato dagli altri due elementi relativi, l'uno, al rischio di un duplice uso delle perdite e, l'altro, al rischio di evasione fiscale. Soltanto alla luce di questi tre elementi di giustificazione, "considerati nel loro insieme",  la Corte ha ammesso che la normativa restrittiva contestata poteva essere giustificata.

Il doppio utilizzo delle perdite fiscali
Passando all’esame del doppio utilizzo delle stesse perdite fiscali, l’Avvocato generale esclude che, nel caso in esame, si verifichi una simile circostanza, in quanto "le perdite di cui si discute nella presente causa non sono, come per la sentenza Marks & Spencer, perdite subìte all'estero da parte di società controllate indipendenti e successivamente trasferite sugli utili della società madre. Si tratta di perdite in cui è incorsa la società madre a causa del deprezzamento del valore delle sue partecipazioni nelle controllate straniere, e non si possono confondere con le perdite subìte da queste ultime". Inoltre anche ammesso, come sostenuto dal Governo germanico, che si riconosca l'esistenza di un nesso economico tra questi due tipi di perdite, in modo che l'imputazione distinta delle perdite delle società figlie e di quelle della società madre venga qualificata come "duplice uso delle perdite", non risulta, nel caso di specie, che questo duplice uso sia specificamente connesso a un trasferimento di attività in un altro Stato membro, verificandosi anche per le perdite sofferte dalle società controllate residenti in Germania.

Il rischio di condotte evasive

Circa il rischio di condotte evasive, l’Avvocato generale rigetta la tesi sostenuta dal Governo germanico, affermando che, in ossequio al principio di proporzionalità, "il semplice fatto che, in un determinato settore economico come il turismo, l'Amministrazione fiscale tedesca abbia rilevato dei casi di perdite consistenti e persistenti subìte da società straniere controllate da società stabilite in Germania non è sufficiente per dimostrare l'esistenza di costruzioni artificiose". Anche assumendo che il rischio vada valutato non in sede astratta bensì in sede di accertamento delle eventuali condotte evasive, l’Avvocato generale rileva che gli Stati membri dispongono di strumenti di cooperazione rafforzata in forza della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, n. 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette. Avverso la replica del Governo germanico, secondo cui, anche in caso di fruttuosa collaborazione con le autorità di un altro Stato membro, il controllo di operazioni estere resta spesso assai difficoltoso e la possibilità di scoprire dichiarazioni inesatte si rivela assai meno agevole, l’Avvocato generale rileva che la direttiva n. 77/799/CEE permette di ottenere informazioni necessarie analoghe a quelle esistenti fra gli uffici tributari sul piano interno, aggiungendo che non vi è ragione di ritenere che le Amministrazioni fiscali nazionali abbiano interesse a lasciar sussistere sul loro territorio situazioni fiscali contrastanti con il diritto dello Stato al quale sono soggette. Dall'altro lato, conclude l’Avvocato generale, nulla impedisce alle autorità fiscali interessate di esigere dallo stesso contribuente le prove che esse ritengano necessarie per valutare se occorra o no concedere la deduzione richiesta.

Uniformità del regime fiscale e Convenzioni internazionali
Anche gli ulteriori argomenti sostenuti dal Governo germanico e basati sul principio di uniformità del regime fiscale, secondo cui la normativa in esame sarebbe conforme al principio di territorialità e salvaguarderebbe la tenuta del sistema fiscale (c.d. coerenza fiscale), vengono respinti dall’Avvocato generale. Il primo argomento è respinto, rilevando che, a differenza del precedente fissato nel caso Futura Participations e Singer in cui lo Stato membro interessato non poteva essere obbligato a prendere in considerazione le perdite straniere, perché queste erano legate ai redditi di origine straniera di contribuenti non residenti, nel caso in esame la concessione del vantaggio non chiama in causa l'esercizio di una competenza fiscale concorrente, riguardando società madri residenti in Germania che sono soggette, a tale titolo, a un obbligo fiscale illimitato in tale Paese. Con riferimento al secondo argomento, il Governo germanico sostiene che, in forza delle Convenzioni sulla doppia imposizione stipulate con numerosi Stati membri, i dividendi versati dalle società figlie stabilite in questi Stati sono esenti da imposta in Germania. Pertanto, sarebbe logico e coerente non accordare alcun vantaggio alla società madre residente a causa delle perdite legate alle sue società figlie. Secondo l’Avvocato generale, viceversa, "le convenzioni fiscali volte a prevenire la doppia imposizione non sono idonee a eliminare il trattamento svantaggioso osservato. Infatti, secondo la normativa germanica, le perdite come quelle di cui si discute nella causa in oggetto sono sempre prese in considerazione quando la società controllata effettua un' "operazione attiva" ai sensi dell'art. 2 bis, comma 2, dell'EStG. Ora, in questo caso i dividendi eventualmente versati da tale società controllata non sono meno idonei ad essere esentati in attuazione di tali convenzioni".

Effetti negativi sul bilancio dello Stato
L’ultimo argomento addotto dal Governo germanico è relativo alle conseguenze economiche negative che deriverebbero per il bilancio statale. L’Avvocato generale, dopo aver riconosciuto legittimo tale timore, rileva comunque che "spetta allo Stato membro interessato provare l'esistenza di detto impatto in ciascun caso e, se lo si può dimostrare, occorre tenerne conto a livello non della giustificazione del provvedimento restrittivo, bensì degli effetti della decisione pronunciata dalla Corte. Occorre ancora ricordare che una limitazione nel tempo degli effetti di una pronuncia della Corte può essere decisa soltanto in circostanze eccezionali, nel caso in cui lo Stato interessato possa dimostrare che sussiste un rischio di gravi ripercussioni economiche e che esso aveva motivi legittimi di ritenere che il suo comportamento fosse compatibile con il diritto comunitario".

Le conclusioni dell'Avvocato generale
Ciò posto, l’Avvocato generale conclude nel senso che "non sarebbe prudente che la Corte ricomprendesse questi timori nel novero degli elementi di giustificazione che consentono di derogare alle norme fondamentali del Trattato. Se gli Stati membri ritengono che considerazioni di ordine economico debbano poter giustificare misure fiscali di ostacolo alle libertà di circolazione, mi sembra che rientri nella loro esclusiva competenza di iscriverle nel Trattato".
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