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Attualità

Pubblicato il Taxing Wages dell’Ocse

Il tradizionale documento analizza i diversi comportamenti dei Paesi membri in materia di tassazione dei redditi da lavoro dipendente

All’interno di questo studio vengono prese in esame non tanto le differenze negli aspetti formali o giuridici dell'imposizione su questa categoria di reddito (es. ammontare di esenzioni previsto, il numero e il livello delle aliquote legali fiscali e contributive) ma piuttosto le conseguenze che queste regole hanno sul piano economico, in termini di incidenza sui costi del lavoro e sul livello di reddito disponibile.
Anche quest’anno l’Ocse, l’organizzazione con sede a Parigi che ha per scopo la cooperazione e lo sviluppo fra i Paesi ad economia di mercato, compresi quelli da poco entrati nella Ue, ha pubblicato il tradizionale Rapporto denominato Taxing Wages. Si tratta di uno studio molto atteso per chi si occupa di confronti internazionali sulla struttura dei sistemi fiscali. Soltanto in questa sede si possono infatti trovare tutti i dati necessari per valutare i diversi comportamenti dei Paesi membri dell’Ocse in materia di tassazione dei redditi da lavoro dipendente.
Dal costo del lavoro ai livelli di reddito
All’interno di questo studio vengono prese in esame non tanto le differenze negli aspetti formali o giuridici dell’imposizione su questa categoria di reddito, quali ad esempio l’ammontare di esenzioni previsto, il numero ed il livello delle aliquote legali fiscali e contributive etc., ma piuttosto le conseguenze che queste regole hanno sul piano economico, in termini di incidenza sui costi del lavoro e sul livello di reddito disponibile. Si tratta di conseguenze importanti sulla crescita macroeconomica perché finiscono per condizionare la configurazione e l’efficienza del mercato del lavoro cosi come il livello della domanda aggregata. Inoltre le variazioni nel livello della tassazione delle persone fisiche o dei contributi sociali segnalano la preferenza accordata dai governi rispetto al livello e alla composizione dei metodi di finanziamento delle spese pubbliche.

Costo del lavoro, salario netto e media Ue

Probabilmente le statistiche più interessanti fra quelle ivi contenute riguardano il cuneo fiscale, ovvero la differenza tra il costo del lavoro complessivamente sostenuto dal datore di lavoro e il salario netto percepito da un lavoratore medio, inizialmente identificato con un maschio non sposato e senza figli e con un livello lordo di salario pari alla media dei dipendenti del settore industriale o dei servizi (quindi lavoratori manuali e di "concetto", come si diceva un tempo). Nel 2005 nei Paesi membri il cuneo si attesta in media sul 37,28 per cento del costo del lavoro, risultando sostanzialmente stabile rispetto al 2004. I paesi dell’Ue, che hanno un livello del cuneo fiscale tradizionalmente più alto, hanno fatto i maggiori passi in avanti verso una riduzione del valore del cuneo, ma la media è ancora al di sopra del 42 per cento. In questo contesto l’Italia ha se non altro il primato della stabilità, visto che il suo 45,4 per cento (Fig. 1) è esattamente lo stesso valore registrato nel 2004. In questo modo restiamo ancora il settimo paese per livello del cuneo fiscale, in una graduatoria che vede sul podio il Belgio (55,43 per cento) seguito dalla Germania (51,77 per cento) e dall’Ungheria (50,54 per cento). Il livello più basso è quello della Corea del sud (17.3 per cento), mentre in Europa il primato è dell’Irlanda (25,72 per cento).


Fig. 1: livello e composizione del cuneo fiscale nei primi dieci Paesi

La situazione italiana
In Italia negli ultimi 5 anni il cuneo fiscale è sceso di un punto in percentuale del costo del lavoro, cioè meno che nella media dell’Europa a 15, la quale costituisce il raggruppamento di Paesi con cui per vari motivi sono più significativi i raffronti. Fra il 2001 e il 2005 il cuneo è sceso leggermente meno anche della pressione fiscale complessiva italiana, la quale ha perso l’1,7 per cento (Fonte: Istat) contro l’1,3 per cento del cuneo. Malgrado che per ridurre questo considerevole livello di tassazione sui salari siano stati fatti quindi meno sforzi rispetto al resto del mondo e alle altre voci di entrata, l’Italia si dimostra ancora molto competitiva dal punto di vista del costo del lavoro (calcolato per tenere conto delle differenze d’inflazione), visto che secondo l’Ocse il costo del lavoro in Italia (su cui viene calcolato il cuneo) è pari ai due terzi di quello presente in Belgio, al 70 per cento della Francia o all’80 per cento della Svizzera, un Paese che ha inoltre un cuneo inferiore al 30 per cento (Fig. 2).


Fig. 2: valore del costo del lavoro (in dollari Usa) nei primi 10 Paesi più l’Italia
Il ruolo dei contributi sociali
Ma a cosa si deve questo livello del cuneo fiscale, e perché il suo calo è cosi lento? A determinare il cuneo fiscale complessivo italiano sono stati finora soprattutto i contributi sociali a carico del datore di lavoro, che da soli valgono per oltre la meta del totale. Poiché essi servono a finanziare la spesa previdenziale sono abbastanza delicati da toccare, come fa notare l’Ocse stessa. Fra l’altro dopo la Spagna il nostro è il Paese in cui è più forte la differenza fra i contributi dovuti dal datore di lavoro e quelli pagati dal lavoratore, visto che questi contano solo per il 15 per cento del cuneo fiscale. Il restante 30 per cento è quindi ascrivibile alla tassazione diretta ed è per converso relativamente basso rispetto al 34 per cento della media della UE a 15. I contributi sociali hanno quindi un peso nel cuneo fiscale più che proporzionale rispetto a quel che contano nel totale delle entrate pubbliche.
L’introduzione dell’Irap
E’ proprio per ridurre questa asimmetria che va letta l’introduzione dell’Irap che ha sostituito un coacervo d’imposte fra cui proprio alcuni contributi sanitari pagati dalle imprese. L’inserimento dell’Irap nel cuneo fiscale, con la pretesa che nella sua base imponibile sono inclusi i salari, è un esercizio rischioso perché falsa la posizione italiana, visto che l’Irap ha sostituito anche alcune imposte locali come l’Ilor e l’Iciap più altre tasse gravanti sulle imprese come la tassa sul patrimonio o l’imposta di concessione governativa sulla partita Iva. Si tratta d’imposte che sono in vigore in numerosi Paesi e che non vengono ovviamente contabilizzate nel cuneo. Inoltre la loro eliminazione e la sostituzione con l’Irap ha permesso un calo della pressione fiscale sui fattori produttivi delle imprese che già nel primo anno d’introduzione, il 1998, è stato pari a circa 7,2 miliardi di euro con un risparmio dell’11,2 per cento sugli oneri sociali del costo del lavoro rispetto all’anno precedente.
L’incidenza sui salari e sulle famiglie
I lavoratori con un livello inferiore di salario medio godono di una situazione leggermente più favorevole: per essi il cuneo fiscale è solo del 41,7 per cento (ottavo posto, scavalcati dalla Repubblica Ceca). Sono questi lavoratori ad essere più spesso e più a lungo vittime delle crisi economiche e per questo motivo hanno beneficiato ovunque del taglio più rilevante, per esempio di circa 1,4 punti in Italia (anche se erano 2 punti fino al 2003) e addirittura di 6 punti in Francia. Le famiglie monoreddito con due figli a carico sperimentano a loro volta un cuneo ancora minore: i tre punti persi in Italia dal 2000 al 2005 portano al 35,2 per cento, il valore del cuneo per queste tipologie di lavoratori pone l’Italia all’undicesimo posto.
Politica economica e nuclei familiari
Curiosamente in cima alla classifica dei paesi con meno riguardo per i nuclei familiari ci sono tre Paesi molto diversi fra loro, economicamente e culturalmente come la Turchia (42,7 per cento), la Svezia (42,4 per cento) e la Polonia (42,1 per cento). Si tratta di una prova del fatto che in politica economica spesso è meglio non giudicare in maniera a sé stante il valore assunto da uno strumento, mentre è preferibile considerarlo come un ingranaggio di un meccanismo più complesso ed articolato e quindi valutarlo nella misura in cui permette di raggiungere gli obiettivi fissati dai responsabili della politica economica, quali che essi siano.
La comparazione tra Italia e Francia
In conclusione una riflessione va fatta sulla situazione dell’Italia e della Francia. Si è visto come il costo del lavoro francese sia di circa il 30 per cento più elevato di quello italiano mentre dalla Figura 1 si evince che in Francia l’imposta sul reddito pesa sul cuneo per il 26 per cento in meno, una situazione che sfavorisce nettamente i lavoratori italiani. Si tratta quindi di una nuova conferma della caratteristica strutturale del sistema fiscale italiano, ovvero la sua eccessiva dipendenza dai redditi da lavoro dipendente.
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