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Attualità

Il principio di non discriminazione per i soci non residenti

In assenza delle limitazioni introdotte dal decreto attuativo, le società estere partecipanti avrebbero potuto optare per il regime solo per evitare l'applicazione della ritenuta sul dividendo

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La circolare n. 49 del 22 novembre 2004 (Ires/4), con la quale l'Agenzia delle Entrate ha fornito un dettagliato quadro d'insieme in ordine alla disciplina sul regime della trasparenza fiscale, offre lo spunto per alcune riflessioni connesse ai quei casi in cui soci esteri siano presenti nella compagine sociale della società trasparente.

Che gli aspetti transnazionali della disciplina costituiscano un punto particolarmente insidioso, lo dimostrano i necessari aggiustamenti normativi e interpretativi, che, a partire dai principi espressi dal legislatore delegante, si sono succeduti nel tempo, fino a trovare una loro esplicitazione sistematica con la circolare in questione.
In tal senso, infatti, vale la pena rammentare che il novellato articolo 115 del Tuir, nel prevedere la possibilità di estendere il regime fiscale della trasparenza anche ai soci non residenti nel territorio dello Stato "a condizione che non vi sia obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti", ha solo parzialmente recepito la disposizione della delega, laddove all'articolo 4, lettera h), della legge 7 aprile 2003, n. 80, si fa esplicito riferimento all'assenza di prelievo sugli utili distribuiti, ricomprendendo anche le fattispecie nelle quali la ritenuta fiscale, ove applicata, sia suscettibile di integrale rimborso.

Il riallineamento normativo con i principi della delega è puntualmente avvenuto attraverso lo strumento del decreto attuativo(1).
La motivazione che ha portato alla previsione di tali condizioni va certamente individuata nell'intento di evitare perdite di gettito per lo Stato italiano dovute a una sostanziale mancanza di neutralità del regime della trasparenza rispetto a quello ordinario.
In caso contrario, infatti, e cioè senza l'introduzione dell'esclusione dal regime in esame dei soci esteri soggetti ad applicazione della ritenuta sui dividendi in uscita (e quindi, per effetto del principio "all in all out", di tutta la compagine sociale), si sarebbero verificate distorsioni sul piano della tassazione a tutto vantaggio del socio estero.
La tassazione avrebbe, infatti, inciso il solo reddito imputato per trasparenza al non residente, tenuto conto che le successive distribuzioni di quel medesimo reddito sono irrilevanti ai fini reddituali(2) laddove, secondo le regole ordinarie è, invece, previsto, accanto alla imponibilità Ires 33 per cento del reddito societario prodotto in Italia, l'ulteriore introito da ritenuta sul dividendo distribuito al socio estero.
In assenza delle predette limitazioni, le società estere partecipanti avrebbero potuto optare per il regime di trasparenza al solo fine di evitare l'applicazione della ritenuta stessa.

Per poter individuare i soggetti esteri legittimati in qualità di soci all'esercizio dell'opzione per trasparenza, è, pertanto, necessario verificare, in aggiunta ai requisiti di cui al comma 1 dell'articolo 115 del Tuir(3), quali siano le eccezioni al principio generale di applicazione della ritenuta ai dividendi in uscita, disciplinato dall'articolo 27, terzo comma, del Dpr 29 settembre 1973, n. 600.
Se consideriamo che a oggi nessuna delle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia con altri Stati prevede la possibilità di eliminare la misura dell'imposizione del 27 per cento (12,5 per cento se il socio che percepisce il dividendo è un azionista di risparmio) stabilita dal sopra citato articolo 27, prevedendone al massimo una sua attenuazione, due sono le ipotesi che realizzano le condizioni previste per la non applicabilità o il rimborso della ritenuta sulla distribuzione dei dividendi in uscita:
1. la partecipante non residente beneficia della direttiva del Consiglio n. 90/435 del 23 luglio 1990 (cosiddette società madri e figlie), attuata per i dividendi in uscita dall'articolo 27-bis del Dpr 600/73
2. la partecipante non residente, anche non Ue, ha nel territorio dello Stato italiano una stabile organizzazione cui si riferisce la partecipazione nella società trasparente (articolo 27, terzo comma, Dpr 600/1973).

Per quanto concerne il primo punto va precisato che il regime madre-figlia trova applicazione in presenza di alcuni specifici requisiti:
1. soggettivi: il socio estero sia una società costituita in una delle forme giuridiche indicate nell'allegato della direttiva n. 435/90/Cee, risieda ai fini fiscali in uno stato Ue e risulti assoggettato a una delle imposte indicate nella medesima direttiva senza possibilità di fruire di regimi di opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati
2. oggettivi: la partecipazione da cui deriva il dividendo sia relativa a una partecipazione diretta non inferiore al 25 per cento del capitale della società che distribuisce gli utili e sia stata detenuta ininterrottamente per almeno un anno.

L'accertamento di tali requisiti appare, pertanto, indispensabile ai fini della verifica della legittimità dell'esercizio dell'opzione per la trasparenza da parte delle società residenti(4).
In tal senso soccorre l'articolo 27-bis del Dpr 600/73, il quale prevede che per la concessione del regime di esenzione, ovvero il riconoscimento del rimborso, debba essere presentata all'Amministrazione finanziaria una certificazione, rilasciata dallo Stato estero di residenza, che attesti il possesso dei requisiti sopra indicati.
Atteso che tali requisiti sono gli stessi necessari per l'adesione al regime di trasparenza in presenza di soci non residenti, si potrebbe ritenere sufficiente in sede di attività di controllo acquisire agli atti la predetta certificazione.

Dai requisiti, così come sopra individuati, sembra possano derivare alcune problematiche in ordine al rispetto del principio di non discriminazione stabilito dalla normativa comunitaria e, in particolare, del principio di libertà di stabilimento, di cui all'articolo 43 del Trattato istitutivo Cee, il quale vieta l'introduzione di norme discriminatorie nei confronti di soggetti di altri Stati membri.
In tale ottica, qualche perplessità in ordine al rispetto del citato principio potrebbe sollevarsi per quelle situazioni derivanti dalla diversa quota minima di partecipazione richiesta ai fini dell'accesso al regime per le società italiane, pari al 10 per cento, rispetto alla quota del 25 per cento necessaria per i soggetti comunitari. A ben vedere, però, tale circostanza è limitata al periodo che va dall'entrata in vigore della riforma fino al 2007, anno in cui, per effetto della modifica alla direttiva madre-figlia, il livello minimo di partecipazione richiesta scenderà al 10 per cento.
Analoga considerazione può essere svolta con riferimento al secondo requisito, cui è ricollegata la non applicabilità della ritenuta sui dividendi in uscita, e cioè la presenza nel territorio dello Stato italiano di una stabile organizzazione della partecipante comunitaria.
Una tale delimitazione dell'ambito soggettivo comporterà inevitabilmente che soggetti comunitari carenti di uno dei requisiti prescritti per l'accesso al regime madre-figlia dovranno necessariamente sostenere costi legati a operazioni di ingegneria societaria che potrebbero generare ritardi nel processo di adesione all'istituto della trasparenza.


NOTE:
1. Articolo 1, comma 2, del Dm 23 aprile 2004.

2. Ai sensi dell'articolo 23, comma 1, lettera g), del Tuir, il reddito imputato per trasparenza al socio estero è considerato prodotto nel territorio dello Stato e, come tale, concorre al formare il reddito complessivo imponibile in Italia del soggetto non residente.

3. E' ormai consolidata l'opinione che si non si tratti di un rinvio incondizionato al comma 1, bensì di un puntuale riferimento ai soli requisiti della partecipazione al capitale sociale, che attribuisca una determinata percentuale di diritti di voto e di partecipazione agli utili , e della forma giuridica.

4. Nessun problema specifico dovrebbe derivare dalla verifica del requisito della partecipazione dei soci esteri al capitale della partecipata residente, se non quelli di carattere generale derivanti da situazioni in cui si verifica una dissociazione tra la partecipazione stessa e la titolarità dei diritti di voto e degli utili.

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