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Attualità

Accertamenti fiscali e Comuni.
Le segnalazioni qualificate - 4

La Regione siciliana, destinataria del gettito dei tributi erariali incassati nel proprio territorio, riconosce agli enti locali il 33% delle maggiori somme riscosse a titolo definitivo

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L’autonomia finanziaria della Regione siciliana, garantita dagli articoli 36 e 37 dello Statuto di autonomia e dalle disposizioni attuative (Dpr n. 1074/1965), rende ‘di spettanza’ della Regione tutte le entrate tributarie erariali statali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle “nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime“, nonché delle entrate comunque riservate allo Stato, e cioè quelle derivanti dalle imposte di produzione (ora accise), dal monopolio dei tabacchi e dal lotto e lotterie a carattere nazionale.
 
In tale contesto e con riguardo all’attribuzione diretta, in Sicilia, a Enti diversi dalla Regione (Comuni) di “quote di gettito” di tributi statali erariali, prevista dalle disposizioni del Dlgs n. 23/2011 di attuazione del ”federalismo fiscale”, è stato infine chiarito – anche a seguito dell’intervento della Corte costituzionale (in particolare si veda la pronuncia sul ricorso della Regione siciliana per presunta violazione del dettato statutario: Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 7-21 marzo 2012) – che l’ingresso delle disposizioni del decreto legislativo [n. 23/2011 ndr] nell’ordinamento delle Regioni speciali in tanto potrà avvenire in quanto le stesse siano recepite nelle fonti di attuazione dello statuto, ovvero si addivenga ad una revisione di quest’ultimo, secondo le forme previste ed ove effettivamente necessario.
 
In sostanza, la Consulta, precisamente nel dichiarare l’infondatezza delle censure proposte dalla Regione riguardo all’applicazione in Sicilia della normativa sul federalismo fiscale, ha argomentato che, “pur non potendosi negare la spettanza alla Regione Siciliana del gettito degli indicati tributi riscossi nel suo territorio e, quindi, la potenziale sussistenza del denunciato contrasto, deve ritenersi che proprio questo contrasto rende operante la clausola di ‘salvaguardia’ degli statuti speciali contenuta nel parimenti censurato comma 2 dell’art.14 del D.Lgs. n. 23 del 2011, secondo cui il decreto ‘si applica nei confronti delle regioni a statuto speciale’ solo ‘nel rispetto dei rispettivi statuti’. Ne consegue, l’inapplicabilità alla Regione ricorrente dei censurati commi dell’art. 2, in quanto ‘non rispettosi’ dell’autonomia”.
 
Questo ‘speciale’ quadro di riferimento, pur legittimo in punto di prerogative statutarie della Regione, ha però reso non applicabile in Sicilia, sino a tutto il 31 dicembre 2011, l’intero assetto normativo definito a livello nazionale per promuovere la partecipazione dei Comuni all’accertamento fiscale.
Tale “limite” ha trovato infine soluzione nell’ambito della legge finanziaria regionale per il 2012, approvata dall’Assemblea regionale siciliana nel maggio 2012.
Dispone, infatti, il comma 13 dell’articolo 8 della legge Regione Sicilia 9 maggio 2012, n. 26, (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2012), che “al fine di potenziare l’azione di contrasto all’evasione fiscale, si applica in Sicilia l’articolo 18, comma 9, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 e successive modifiche ed integrazioni”.
 
Invero, il recepimento così formulato realizza un “rinvio dinamico” alla normativa nazionale che non è però totale, nel senso che restano escluse altre norme di attuazione del disegno federalista. Questo “schema di recepimento” non è inconsueto per il legislatore regionale e, tuttavia, parrebbe piuttosto fondato sul principio che la legge nazionale può essere recepita limitatamente a quelle norme che non siano incompatibili con una legge regionale o con le prerogative derivanti dallo statuto dell’autonomia, là dove le norme non recepite realizzano, piuttosto, un “equilibrio” nella ripartizione del gettito ai Comuni, equilibrio che la Regione siciliana avrebbe potuto definire più organicamente con legislazione propria (anche mediante la stessa norma ricettizia), precisamente a motivo della sua speciale autonomia.
 
L’adeguamento alle modalità di attuazione del federalismo fiscale in Sicilia in conformità alle prerogative statutarie della Regione quale ente ad autonomia differenziata è di certo una regola imprescindibile, come del resto più volte deciso dalla Corte costituzionale (sentenza n. 71 del 21 marzo 2012), né, tantomeno, è sindacabile la (conseguente) scelta di “politica finanziaria” del Governo della Regione volta a definire un’autonoma quantificazione della quota percentuale di “riassegnazione” agli Enti locali regionali (Comuni) delle risorse finanziarie derivanti dalla loro collaborazione all’attività di accertamento fiscale. Si deve, però, constatare che la ”soluzione tecnica” adottata dal legislatore regionale, comporta rilevanti “difformità” rispetto all’impianto nazionale, e cioè:
 
  1. una diversa determinazione, rispetto a quella prevista a livello nazionale, della quota di risorse attribuibili ai Comuni e la riduzione della base di commisurazione su cui applicare tale aliquota, costituita, in Sicilia, soltanto dalle maggiori somme riscosse a titolo definitivo;
  2. un meccanismo di assegnazione di tali risorse che prevede una “mediazione” dal Governo regionale e che comporta una maggiore complessità tecnica rispetto alla previsione nazionale.
 
Quanto al primo aspetto, va detto che esso non emerge immediatamente dal rinvio al dettato normativo di cui all’articolo 18, comma 9, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 e successive modifiche ed integrazioni, che anzi questo, coordinato appunto con le successive modifiche ed integrazioni, pur potrebbe legittimare l’interpretazione per cui, anche in Sicilia, la determinazione della quota di ripartizione del maggior gettito derivante dalla partecipazione dei Comuni dell’Isola all’accertamento dei tributi erariali statali, è infine fissata nella misura del 100% del riscosso, anche a titolo non definitivo.
 
E tuttavia, già in sede d’illustrazione del progetto di legge finanziaria, emergeva l’interpretazione del Governo regionale secondo cui la Regione siciliana, in quanto destinataria, ai sensi dell’articolo 36 dello Statuto, del gettito dei tributi erariali riscossi nel proprio territorio, con l’articolo 8, comma 13, legge regionale n. 26/2012 ha sì stabilito di “riconoscere” ai Comuni gli importi relativi alle maggiori somme riscosse a seguito del loro contributo al contrasto all’evasione fiscale ma, stante il limitato recepimento in Sicilia dell’impianto normativo del “federalismo fiscale”, la quota percentuale da attribuire ai Comuni stessi deve intendersi quella del 33%, fissata nella formulazione originaria della norma recepita.
 
L’esplicitazione di tale assunto è stata poi formalizzata nella circolare esplicativa degli “indirizzi applicativi” della legge regionale n. 26/2012, emanata dall’assessorato regionale dell’Economia, dove è puntualizzato che “(…) nelle more dell’attuazione nel territorio della Regione delle disposizioni in materia di federalismo fiscale e municipale, le disposizioni di cui all’art. 2 del D.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 ed al D.L. 13 agosto 2011, n. 138, la quota percentuale del maggiore accertamento da riconoscere ai Comuni è pari al 33%, così come stabilito dall’art. 18, comma 5, del citato D.L. 78 del 2010, salvo restando che diverse determinazioni potranno essere adottate nel contesto del negoziato aperto con lo Stato cui si faceva prima riferimento”.
In sostanza, basandosi sulla portata dell’autonomia statutaria in materia di spettanza del gettito tributario delineata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 64 del 2012, e con riguardo all’applicazione del Dlgs n. 23/2011, la Regione siciliana adduce che “(…) tale disciplina attuativa della legge n. 42 del 2009 e s.m.i. non trova applicazione nella Regione Siciliana in ragione della sua autonomia differenziata, sicché la regolazione del federalismo fiscale potrà trovare una compiuta declinazione solo nell'ambito degli accordi che Regione e Stato debbono concludere nel tavolo di confronto, previsto dall’art. 27 della legge citata e nelle conseguenti norme di attuazione statutaria in materia finanziaria”.
 
Da questa modalità di recepimento della normativa nazionale discende un’ulteriore ‘difformità’, riguardante la determinazione dell’entità della contribuzione ai Comuni, che resta ancorata alle sole somme riscosse a titolo definitivo.
Nella formulazione originaria, infatti, l’articolo 1, comma 1, del Dl 203/2005 disponeva l’attribuzione ai Comuni di una quota pari al 30% delle maggiori somme riscosse; tale ammontare è stato poi elevato al 33% dall’articolo 18, comma 5, lettera a), del Dl n. 78/2010, sino a rimanere fissato al 100% per effetto di successivi interventi legislativi. L’articolo 2, comma 10, lettera b), del Dlgs n. 23/2011 - non recepito dalla legislazione regionale - ha inoltre attribuito ai Comuni, pur se necessariamente in via provvisoria, anche una quota percentuale delle somme riscosse a titolo non definitivo, fermo restando il recupero delle stesse qualora siano rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo. In sostanza, per effetto delle disposizioni in commento, per gli anni 2012, 2013 e 2014, a livello nazionale ai Comuni andrà l’intero maggior gettito ottenuto a seguito dell’intervento svolto dall’ente stesso nell’attività di accertamento, anche se si tratta di somme riscosse a titolo non definitivo e fermo restando il successivo recupero delle stesse ove rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo. Le modalità di recupero delle suddette somme saranno disciplinate con decreto del Mef da emanare sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali.
Restando tale regolamentazione normativa estranea all’impianto adottato in Sicilia, consegue che la già ridotta quota del 33% delle somme riversabili ai Comuni in Sicilia potrà essere calcolata soltanto sulle somme riscosse a titolo definitivo, cioè sulla base di un rapporto d’imposta consolidato.
 
Passando alla seconda questione, relativa alla tecnica di erogazione ai Comuni interessati delle somme “maturate”, va premesso che a livello nazionale, con decreto del direttore generale delle Finanze e del Ragioniere generale dello Stato del 15 luglio 2011, sono stati fissati, pur se in via provvisoria, i criteri per la determinazione dell’importo netto da erogare ai Comuni che abbiano partecipato all’accertamento fiscale; tali criteri vengono individuati in rapporto alle varie imposte e/o contributi e comportano un’applicazione differenziata secondo l’ubicazione dei comuni in regioni a statuto ordinario o speciale.
Ai fini della quantificazione delle somme da trasferire è stata disciplinata anche la procedura che i vari enti interessati (dipartimento delle Finanze, Ragioneria generale dello Stato, ministero dell’Interno, Agenzia delle Entrate e Inps) dovranno seguire per completare la procedura e assegnare ai Comuni le somme dovute.
 
In sintesi, è stato previsto che:
 
  • il dipartimento delle Finanze comunichi al ministero dell’Interno e al dipartimento della Ragioneria generale dello Stato l’importo netto da erogare ai Comuni nell’esercizio di riferimento, calcolato al netto di alcune poste (in base al primo periodo del comma 9, articolo 18 del Dl 78/2010) e sulla base dei dati definitivi relativi alle riscossioni realizzate nell’anno precedente, distintamente per Comuni, per tributi e contributi (Inps)
  • al fine di consentire al dipartimento delle Finanze la determinazione di tale importo netto, l’Agenzia delle Entrate, con riferimento agli accertamenti fiscali, e l’Inps, con riguardo agli accertamenti contributivi, dovranno comunicare al dipartimento Finanze, distinti per ciascun Comune, i dati relativi alle riscossioni definitive, conseguenti agli accertamenti cui abbiano contribuito i Comuni
  • il ministero dell’Interno, sulla base della comunicazione del dipartimento delle Finanze, provvederà all’erogazione ai Comuni delle somme a essi spettanti, entro la data del 31 ottobre 2012 o successivamente, nei casi in cui i dati e gli elementi necessari ai fini dell’erogazione non siano disponibili.
Le somme eventualmente attribuite ai Comuni in misura superiore a quella spettante dovranno essere recuperate negli anni successivi.
 
Per quanto riguarda la Sicilia, il comma 13 dell’articolo 8 della legge n. 26/2012 prevede che le comunicazioni relative ai dati di cui al Dl n. 78/2010, ai sensi dell’articolo 8 del Dpr n. 1074/1965, sono rese alla Regione siciliana e le somme riversate alla Regione sono iscritte nei pertinenti capitoli del bilancio regionale istituiti nello stato di previsione dell’entrata dell’Assessorato regionale dell’economia - Dipartimento delle finanze e del credito - per essere riassegnate al correlato capitolo del bilancio regionale istituito nello stato di previsione della spesa dell’Assessorato regionale delle autonomie locali e della funzione pubblica - Dipartimento delle autonomie locali che provvede all’erogazione ai comuni, a valere sulle disponibilità iscritte.
 
In concreto, si tratta di disposizioni che fissano mere modalità tecnico-contabili per il versamento di somme dovute dallo Stato alla Regione, là dove sarebbero state sufficienti – senza alcuna lesione dell’autonomia statutaria (si tratta, infatti, di un ambito d’intervento ove la legislazione statale non può arrecare alcun pregiudizio alla finanza regionale incidendo su modalità tecniche di regolamento di tesoreria per il trasferimento di somme spettanti alla Regione - Corte costituzionale, sentenza n. 334/2009) – le previsioni di cui al Dl n. 78/2010 e al Dlgs n. 23/2011 e la regolamentazione coi decreti ministeriali attuativi in esso previsti. Ciò porta a ritenere che la disposizione in commento, che in un certo senso “appesantisce” il meccanismo tecnico di erogazione, si è resa necessaria a motivo del mancato recepimento del Dlgs n. 23/2011.

4 - fine. La prima parte è stata pubblicata l’8 marzo, la seconda il 13 marzo, la terza il 14 marzo
 
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