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Attualità

In 11 Paesi 5 miliardi di gettito dalle amnistie fiscali

Dal Canada agli Stati Uniti, dal Portogallo alla Russia le iniziative perdonali adottate nel quinquennio passato non conoscono confini

L’obiettivo è favorire il rientro dei capitali dall’estero. E se è vero che l’iniziativa accomuna vari Paesi è anche vero che appaiono piuttosto deludenti i risultati. Infatti la somma ricondotta nelle casse degli erari è piuttosto modesta. Le iniziative messe in campo dalle Amministrazioni tributarie di ben 11 Paesi al fine di ricondurre in patria le somme ingenti trasferite illecitamente all’estero, soprattutto in centri offshore, come per esempio il Liechtenstein, sono state contrassegnate nel quinquennio passato dall’adozione di numerose amnistie fiscali finalizzate ad incoraggiarne e a favorirne il rimpatrio, cosiddetto soft. Non stupisce quindi che da Mosca a New York, transitando per Londra, ultima ad aver aderito a questo club di Stati in cerca di capitali imboscati all’estero, la lista dei Paesi che hanno fatto ricorso a iniziative perdonali includa oggi anche il Sud Africa, il Messico e perfino la tigre celtica irlandese, un tempo libero rifugio di abbondanti tesori in ingresso e oggi, per effetto d’una ricchezza interna che cresce di gran corsa, terra che osserva preoccupata l’esodo dei tesoretti che molti irlandesi hanno cominciato a stoccare nelle rispettive banche e ad esportate, spesso illegalmente.  


Tabella riepilogativa 



                     

I Paesi che hanno varato amnistie fiscali per incoraggiare il rientro dei capitali (il valore dei dati riportati nella tabella è espresso in milioni di euro).
Fonte: Ocse


I risultati delle amnistie? Tanto rumore per nulla

Il dato che colpisce, oltre a quello relativo all’Atlante geografico davvero ricco e rigoglioso delle amnistie fiscali, riguarda i risultati modesti conseguiti nella stragrande maggioranza dei Paesi che vi hanno fatto ricorso. Complessivamente, infatti, il gettito di cui hanno beneficiato gli erari degli 11 Paesi interessati si è arrestato sulla soglia dei 5 miliardi di euro. Una cifra questa che, sicuramente, tenderà a crescere nel tempo, quando sarà possibile aggiungervi anche gli incassi finali contabilizzati dalle rispettive Amministrazioni tributarie di Grecia, Messico e Gran Bretagna, ma che pur avvicinandosi ai 6 miliardi di euro resterà comunque immobile nel territorio dei risultati piuttosto modesti. Considerando infatti che il volume dei capitali che riposano nelle giurisdizioni dei paradisi fiscali si misurano in termini di migliaia di miliardi di euro, l’aver ricondotto 5, forse 6 miliardi di euro, nelle casse dei rispettivi erari domestici non sembra affatto costituire un numero da primato. Se poi si osservano i flussi dei miliardi rimpatriati nelle rispettive economie, anche sotto questo profilo lo sforzo delle iniziative perdonali non sembra esser stato premiato. Infatti, il reingresso di decine di miliardi di euro all’interno delle economie nazionali ha avuto in genere un impatto quasi impercettibile sui rispettivi mercati domestici, con l’unica eccezione del Sud Africa. Peraltro, il fatto che centinaia di miliardi di euro l’anno continuano imperterriti la loro corsa in direzione dei centri offshore, costituisce la prova finale del fatto che le amnistie fiscali succedutesi nel corso del quinquennio passato non hanno avuto l’esito sperato.

Il caso sudafricano e la sua eccezionalità
Ma anche in questo caso, prima di esprimere giudizi avventati, sarebbe necessario valutare la storia passata d’un Paese che, all’indomani della fine dell’apartheid, osservò una fuga massiccia di capitali e di patrimoni per tre ragioni: sfiducia nella nuova classe dirigente, pessimismo sulla tenuta dell’economia e, soprattutto, timore d’una possibile crisi militare, interna o esterna. Una volta stabilizzato il Paese, sia sul versante politico che su quello economico, il varo dell’amnistia fiscale ha costituito un passo strategico, una sorta di ponte, volto a favorire il recupero completo e il ricongiungimento con il significativo patrimonio finanziario sudafricano disperso nel corso delle crisi passate.

L’Atlante delle misure perdonali per il rientro dei capitali
Cambiano le aliquote, anche gli intervalli temporali e i calendari, ma il fine resta il medesimo: incoraggiare il rimpatrio dei patrimoni migrati all’estero per essere occultati in giurisdizioni offshore, sotto l’ombrello della riservatezza e d’una bassa imposizione, alle volte inesistente. Di seguito le amnistie varate nei diversi Paesi.

Belgio – La Déclaration libératoire unique (Dlu) è stata adottata nel 2004. La misura prevede l’applicazione d’una imposta fissa del 9 per cento che consente la regolarizzazione delle somme rimpatriate. Qualora però i capitali siano reinvestiti sul mercato nazionale, in questo caso l’aliquota scende al 6 per cento. Il gettito atteso era di 850 milioni di euro, in realtà il gettito effettivo è stato di 496 milioni di euro. In pratica un piccolo flop.

Germania – Il Tax Amnesty Disclosure Act è stato adottato il 1° gennaio 2004 e riguarda i redditi e i capitali nascosti all’estero in riferimento al periodo 1993-2002. L’amnistia approvata da Berlino prevedeva un’imposta del 25 per cento ma soltanto per le somme regolarizzate entro il 1° gennaio 2005. Nel caso invece di rimpatri successivi, ovvero fino al 31 marzo 2005, l’aliquota saliva al 35 per cento, sempre in riferimento all’ammontare dichiarato. Il gettito finale non ha superato i 901 milioni di euro, una somma davvero modesta rispetto ai 5 miliardi inizialmente stimati al momento del varo ufficiale dell’iniziativa perdonale.

Portogallo – Per i patrimoni e i capitali all’estero da regolarizzare, l’amnistia fiscale scatta nel 2005. L’aliquota prevista è stabilita al 5 per cento o al 2,5 per cento, ma soltanto se le somme rimpatriate sono reinvestite in titoli di Stato. Il gettito registrato è stato di 41 milioni di euro, da luglio a dicembre 2005. In questo caso i capitali trasferiti in Paesi non cooperativi, come per esempio il Liechtenstein, furono esclusi dal beneficio dell’amnistia.

Russia – La misura perdonale entra in vigore il 31 dicembre 2006. Si tratta d’una amnistia che consente di dichiarare redditi non dichiarati in precedenza. L’iniziativa perdonale è estremamente soft dato che non prevede nè sanzioni nè penali particolari e, soprattutto, non richiede l’indicazione della fonte di provenienza dei capitali rimpatriati e nemmeno delle annualità di riferimento. La finestra della regolarizzazione si è chiusa il 1° gennaio 2008. L’aliquota da applicare era del 13 per cento mentre il gettito finale è stato di circa 105 milioni di euro.

Grecia – L’amnistia fiscale per il rimpatrio ha previsto una finestra per la regolarizzazione dal 4 agosto 2004 fino a febbraio 2005. L’aliquota applicata era del 3 per cento del valore del capitale rimpatriato. In questo caso si faceva esplicito riferimento al fatto che il trasferimento dovesse avvenire tramite una banca greca. Si attendeva, con eccesso di ottimismo, il rientro di 20 miliardi di euro, ovvero il 10 per cento del Pil greco. Un dato questo che è rimasto sulla carta.

Italia – Lo scudo fiscale italiano per la regolarizzazione di patrimoni esteri è stato il primo a dare il via al carosello delle amnistie fiscali centrate sui capitali esteri. Il gettito è stato di 1,480 miliardi di euro nel 2002 e di 617 milioni di euro nel 2003.

Messico – L’amnistia per rimpatriare redditi non dichiarati, dividendi o profitti derivanti da investimenti in paradisi fiscali scatta nel gennaio del 2005. Il termine ultimo per aderire alla regolarizzazione era il 28 febbraio del 2006. Nessuna penale era prevista.

Sudafrica – L’amnistia viene varata nel 2003. I capitali regolarizzati e rimpatriati scontarono un’aliquota del 5 per cento che saliva al 10 per cento se i patrimoni, pur essendo dichiarati e rivelati al fisco, restavano però in territorio offshore. 7,8 miliardi di euro furono rimpatriati nel 2003. La misura ha condotto nelle casse dell’erario di Città del Capo 159 milioni di euro.

Irlanda – L’amnistia fiscale lanciata nel 2004 era rivolta alle decine di migliaia di contribuenti che risultavano essere titolari di conti in paradisi fiscali e che, attraverso le loro carte di credito, acquistavano beni e servizi in Irlanda. A oggi, sono ben 15 mila i residenti che hanno rivelato e dichiarato al fisco d’essere possessori di conti offshore. Il gettito della regolarizzazione ha fruttato 856 milioni di euro.

Regno Unito – Quattro istituti finanziari hanno trasmesso, su richiesta, le coordinate e i profili tributari dei loro clienti titolari di conti offshore nel corso del 2006 e del 2007. Una volta assemblati e stoccati i profili di centinaia di migliaia di contribuenti britannici, il fisco ha lanciato il 17 aprile del 2007 l’amnistia - Offshore Disclosure Facility – con l’obiettivo di convincere i titolari di conti offshore a uscire allo scoperto e a regolarizzare le loro posizioni prima che i loro dati, già in possesso degli ispettori del fisco, conducessero all’apertura di specifici accertamenti. Per regolarizzare la propria posizione è necessario versare le tasse e gli interessi dovuti, mentre la penale che si applica è ridotta al 10 per cento rispetto a quella ordinaria del 100 per cento. Naturalmente, scaduti i termini dell’amnistia scatteranno gli accertamenti.

Stati Uniti – L’Offshore Voluntary Compliance Initiative, volta a incoraggiare il rimpatrio di capitali dai paradisi fiscali, è stata varata nel gennaio 2003. Anche in questo caso, oggetto dell’iniziativa era di intercettare i residenti titolari di conti correnti offshore e delle relative carte di credito emesse da banche e istituti finanziari registrati in paradisi fiscali. Il gettito complessivo ha condotto al recupero di circa 197 milioni di euro, mentre sono stati 1.300 i cittadini statunitensi che hanno regolarizzato la loro posizione rivelando anche il nome dei consulenti finanziari che li avevano spinti e consigliati ad aprire conti correnti presso banche offshore.

Canada – Il Voluntary Disclosures Program, lanciato nel 2005, ha avuto un gettito di circa 212 milioni di euro, mentre i canadesi che hanno regolarizzato la loro posizione accettando la transazione con il fisco sono stati 6 mila.
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