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Analisi e commenti

Esterovestizione, in accertamento la prova contraria

Inammissibile un'eventuale istanza di interpello preventivo

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Il decreto "Visco-Bersani" ha introdotto (con il comma 5-bis all'articolo 73 del Tuir) una presunzione relativa di localizzazione in Italia della residenza di società ed enti costituiti all'estero, al ricorrere di determinate condizioni.  In sostanza, si presumono residenti in Italia, salvo prova contraria, quelle società o quegli enti che, pur avendo la sede legale o amministrativa all'estero, detengono direttamente partecipazioni di controllo in una società di capitali o altro ente commerciale residente in Italia e, allo stesso tempo, sono assoggettati al controllo, anche indiretto, da parte di soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano, oppure presentano un organo di gestione composto prevalentemente da amministratori residenti in Italia.
Si tratta di una presunzione legale relativa destinata a invertire l'onere della prova; infatti, sono i soggetti colpiti dalla presunzione che devono provare all'Amministrazione finanziaria il contrario.

Lo stesso Dl 223/2006 (comma 5-ter, articolo 73 del Tuir) stabilisce anche che "ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per la persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all'art. 5, comma 5".

Il momento in cui i soggetti interessati dalla presunzione possono far valere la loro prova contraria offre interessanti spunti di riflessione.
Infatti, in via teorica, si potrebbe ipotizzare che una società non residente possa dare dimostrazione del proprio non essere soggetto "esterovestito" in via preventiva, ossia prima di un eventuale accertamento, mediante ricorso all'istituto dell'interpello, oppure solo durante l'attività di verifica posta in essere dall'Amministrazione finanziaria.

La circolare n. 28/E del 4 agosto 2006, al paragrafo 8 ha chiarito che "la norma prevede, in definitiva, l'inversione, a carico del contribuente, dell'onere della prova, dotando l'ordinamento di uno strumento che solleva l'amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l'effettiva sede della amministrazione di entità che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato molteplici e significativi. In tale ottica, la norma persegue l'obiettivo di migliorare l'efficacia dell'azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell'accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva delle società".

In sostanza, è sostenibile ritenere che la circolare voglia attribuire alla espressione "salvo prova contraria" la valenza di possibilità riconosciuta al contribuente di dimostrare la non applicabilità della norma al proprio caso specifico in sede di accertamento.

Tra l'altro, il paragrafo 8.3 della citata circolare, laddove si occupa di "prova contraria", prevede che "il contribuente per vincere la presunzione dovrà dimostrare, con argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all'estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che esistono elementi di fatto od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero".
Da ciò discende che l'Amministrazione finanziaria fa riferimento a una dimostrazione possibile per il contribuente solo in sede di accertamento.

Occorre anche ricordare che, nonostante nell'ambito della riforma dell'Ires il diritto di interpello abbia assunto un ruolo "diverso" da quello prettamente interpretativo previsto in origine, tale utilizzo è possibile solo laddove la norma lo abbia chiaramente previsto.
Negli articoli 113, 124 e 132 del nuovo Tuir, l'interpello ordinario, espressamente richiamato, ha perso la sua valenza di istituto interpretativo della norma tributaria, per assumere quella di strumento utilizzabile dai contribuenti per vedersi riconoscere l'applicazione di una norma, piuttosto che un'altra, al sussistere di una determinata situazione di fatto.
Le citate norme prevedono, infatti, che il contribuente possa fare la richiesta all'Amministrazione finanziaria, mediante l'esercizio del diritto dell'interpello, ai sensi dell'articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, per il riconoscimento di una data situazione cui ricondurre determinate conseguenze.

Nel caso in argomento, invece, non è sostenibile ritenere che un soggetto possa, in via autonoma, presentare tale tipo di istanza ai fini della non applicazione alla propria situazione della presunzione contenuta nell'articolo 73, comma 5-bis, in quanto nella norma non è presente l'esplicito richiamo all'istituto dell'interpello ordinario.
Anzi al verificarsi di tale eventualità, ovvero presentazione di istanza di interpello ordinario per la dimostrazione della prova contraria, la stessa dovrebbe essere considerata, dalla direzione regionale che lo ha ricevuto, inammissibile, ai sensi dell'articolo 1 del Dm n. 209 del 26 aprile 2001, che prevede la possibilità di presentare l'istanza solo qualora "ricorrano obiettive condizioni di incertezza sulla interpretazione di una disposizione normativa di natura tributaria" in riferimento a casi concreti e personali.

Tra l'altro, la verifica dell'effettiva sede dell'amministrazione di una società riguarda il reale rapporto di questa con un determinato territorio e non potrà basarsi solo su elementi documentali, necessitando anche di elementi concreti. Ci sarà, cioè, bisogno di "argomenti e prove" atti dimostrare che esiste un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero (piuttosto che in Italia), perchè luogo in cui vengono assunte le decisioni strategiche, avviene la stipulazione dei contratti e le operazioni finanziarie sono effettivamente realizzate.
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