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Analisi e commenti

La conservazione del capitale.
Il Framework poco decisivo (2)

Imboccata la strada della tutela del patrimonio finanziario. Dal quadro sistematico lo si rileva in via indiretta

Dopo il viaggio in Germania, torniamo nel nostro Paese.
 
Non si indaga la gestione, anzi non si amministra saggiamente senza un criterio saldamente esercitato negli strumenti e negli apprezzamenti contabili”. La frase è di Gino Zappa, che riassume i legami, intesi dalla scuola italiana, fra ragioneria e tecnica di gestione. Non a caso, entrambe le discipline sono attratte nell’alveo dell’economia aziendale. Una scienza tutta italiana, tanto che, sfogliando manuali in altre lingue, la sua denominazione è, il più delle volte, nemmeno tradotta.
 
L’inquadramento così effettuato non è figlio di spirito patriottico. Serve, piuttosto, a disegnare il contesto, in grado di far capire il motivo per cui le teorie contabili hanno preso la strada che hanno preso: la contabilità non è fine a se stessa, ma è servente alla gestione economica dell’azienda. Gestione determinante per la produzione del reddito che, citando ancora una volta Zappa: “è l’alfa e l’omega della scienza economica”.
 
Come già teorizzato da Schmalenbach (cfr La conservazione del capitale. Il Framework poco decisivo (1), pubblicato il 23 marzo), il patrimonio non è misurabile con la somma dei valori degli elementi che lo compongono, ma ha significato ed è quantificabile in relazione al reddito che è capace di produrre. In tal senso, quindi, l’integrità del capitale è assicurata quando si preserva la sua attitudine a produrre in futuro redditi adeguati. E’ il “reddito consumabile”.
 
C’è da dire che tale elaborazione dottrinale ha trovato sviluppo in un’epoca in cui il bilancio aveva principalmente valenza interna. Con il passaggio all’“era” dell’informativa/comunicazione societaria, si è forzatamente fatto largo il concetto di “reddito prodotto”, che poco spazio concede alle politiche di perequazione auspicate da Zappa e dai suoi allievi. Una considerazione, comunque, frutto proprio delle loro teorie, può fare da raccordo per introdurre il discorso della tutela del capitale nel Framework (e negli Ias/Ifrs in generale): lo scopo per cui è redatto il bilancio influenza le valutazioni attraverso le quali lo stesso prende forma e sostanza. Come dire, secondo i fruitori possono essere redatti più bilanci, con diversi risultati messi in evidenza. Quello pensato nell’ambito dei principi contabili internazionali si rivolge prima di tutto agli investitori. I criteri con cui è redatto (tra le altre cose) ne sono la diretta conseguenza.
 
Prima, però, di toccare questo punto, veniamo finalmente al Quadro sistematico e al modo in cui è intesa la capital maintenance.
 
Le tante strade del Framework
Nel precedente intervento era stato messo in evidenza come il Quadro sistematico, sulla conservazione dell’integrità del capitale, dicesse tutto e il contrario di tutto, senza dare – almeno direttamente – un indirizzo specifico al riguardo.
 
La posizione sulla capital maintenance contenuta nel Framework è, alla fin fine, ricavabile (benché parzialmente disattesa, visti gli ultimi sviluppi legati alle modifiche dello Ias 1, che più avanti analizzeremo). Non, però, dai paragrafi dedicati espressamente all’argomento, nei quali altro non viene fatto se non una ricognizione dei concetti di conservazione del capitale, accompagnata dalla – a questo punto dovrebbero essere scontata – precisazione in base alla quale lo scopo della tutela è raggiunto se, alla fine dell’esercizio, l’entità del capitale è pari a quella d’inizio esercizio, di modo che solo gli importi eccedenti possono essere considerati come utili.
Al punto che proprio nell’ultimo paragrafo del Quadro sistematico è affermato che “Al momento attuale, non è intenzione del Board dello Iasc – che lo ha originariamente approvato ndr- definire un particolare modello se non in circostanze eccezionali, come nel caso di imprese che presentano bilanci nella valuta di un’economia iperinflazionata”.
 
In ogni modo, nei paragrafi da 102 a 110, troviamo esposti i concetti di capitale finanziario e di capitale fisico, con l’indicazione che l’indirizzarsi verso una filosofia di tutela dell’uno o dell’altro (e, quindi, l’impostare i conseguenti criteri di misurazione dell’utile) è funzione degli interessi degli utilizzatori del bilancio. Se, cioè, a questi ultimi preme la conservazione del capitale nominale investito (o del relativo potere di acquisto), la misurazione dovrà essere tesa a preservare il capitale finanziario. Se, invece, il loro interesse primario è la capacità produttiva dell’impresa (o i fondi necessari per ottenere tale capacità), occorre prendere gli accorgimenti contabili per tutelare il capitale fisico.
 
Nel concreto, è specificato che il concetto di conservazione del capitale fisico richiede l’adozione del costo corrente come criterio valutativo, con i cambiamenti di prezzo di attività e passività che vanno trattati come rettifiche per la conservazione del capitale e, quindi, come parte del patrimonio e non come utili.
 
Esempio 1:
Ricavi
100 (a)
Utile d’esercizio
a–b1 = 10
Costi (a valori storici)
80 (b)
Riserve di capitale
c-d+b1-b= 17
Costi (a valori correnti)
90 (b1)
 
 
Incremento valore attività
10 (c)
 
 
Incremento valore passività
3 (d)
 
 
 
La salvaguardia del capitale finanziario non richiede invece l’uso di uno specifico criterio valutativo. A seconda, poi, che ad essere tutelato è il capitale finanziario nominale o reale, potremo avere – sempre presupponendo l’abbandono, totale o parziale, del costo storico - 2 sviluppi differenti.
 
Esempio 2 (capitale finanziario nominale opzione 1)
Ricavi
100 (a)
Utile d’esercizio
a–b+c–d=27
Costi
80 (b)
 
 
Incremento valore attività
10 (c)
 
 
Incremento valore passività
3 (d)
 
 
 
Esempio 3 (capitale finanziario nominale opzione 2)
Ricavi
100 (a)
Utile d’esercizio
a–b=20
Costi
80 (b)
Riserve di capitale
c-d=7
Incremento valore attività
10 (c)
 
 
Incremento valore passività
3 (d)
 
 
 
Esempio 4 (capitale finanziario reale)
Ricavi
100 (a)
Utile d’esercizio
a–b+(c-d)x70%=24,9
Costi
80 (b)
 
 
Incremento valore attività
10 (c)
Riserve di capitale
=(c-d)x30%= 2,1
Incremento valore passività
3 (d)
 
 
Incremento percentuale prezzi attività
10% (e)
 
 
Incremento percentuale prezzi passività
10% (e)
 
 
Incremento indice dei prezzi
3% (f)
 
 
% Incremento prezzi att/pass. a utile
(e – f)/e
70%
 
% Incremento prezzi att/pass. a capitale
1-(e– f)/e
30%
 
 
Nel caso prospettato nell’esempio 4, in pratica, l’incremento dei prezzi delle attività e delle passività fanno utile solo per la parte che eccede l’indice dei prezzi generale. Il resto serve a ristorare il capitale dalla svalutazione della moneta di conto.
 
La parte, però, più interessante della discussione è legata alla tutela del capitale finanziario nominale. Come visto negli esempi 2 e 3, infatti, può essere presa sia la strada che porta a considerare le plusvalenze/minusvalenze iscritte, non realizzate, come utile/perdita, sia quella che le inquadra fra le poste di capitale: “incrementi dei prezzi delle attività verificatisi nel corso del periodo … sono, concettualmente, degli utili. Essi possono tuttavia non essere rilevati come tali, sino a che le attività non sono alienate in operazioni di scambio” (Framework, paragrafo 108).
 
L’implementazione degli Ias/Ifrs ci porta a dire che, nella pratica, è stata presa la via della tutela del capitale finanziario. Ma dove tale indicazione è presente – seppur, come anticipato, indirettamente – anche nel Quadro sistematico? Nel paragrafo 81: “La rivalutazione o la riscrittura di attività e passività dà luogo a incrementi o decrementi nel patrimonio netto. Benché tali incrementi o decrementi soddisfino la definizione di ricavo o costo, essi non sono inclusi nel conto economico in base ad alcuni concetti propri della conservazione del capitale. Tali elementi sono invece inclusi nel patrimonio netto come rettifiche per la conservazione del capitale o riserve di rivalutazione”.
 
Rivalutazioni e svalutazioni hanno, quindi, natura di ricavi e costi nel mondo Ias rappresentato dal Framework. Perché ricavo è ogni incremento di benefici economici, di competenza, che fa aumentare il patrimonio e che si manifesta (escludendo nuovi conferimenti dei soci) sotto forma di nuove attività, accresciuto valore di quelle esistenti o di diminuzioni delle passività. Discorso speculare va fatto per i costi.
Lo si è già accennato: è l’asset-liability approach. Punti di partenza sono attività e passività e ogni incremento/decremento nei loro importi è - concettualmente - un utile.
 
A questo punto, però, sorgono altre domande cui dare risposta. Constatato l’approccio al capitale finanziario, i principi contabili veri e propri - quelli omologati, gli Ias/Ifrs - si sono davvero orientati verso una totale considerazione delle variazioni dei prezzi di attività e passività e, nel caso, le hanno attratte fra l’utile o fra le rettifiche di capitale?
 
E’ un’altra storia. Ed è il caso di cominciare a raccontarla.
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